Nutrishion: la moda è servita

Il mondo a volte è un posto strano, spesso stranissimo. Un posto in cui le notizie, il più delle volte, attraversano indisturbate il senso critico comune, e la dieta Sirt di Adele scuote le coscienze al punto da invaderle, interrogarle – quindi bocciarle – e arrivare a sostituirle con una versione centrifugata di loro stesse. Questi sono gli anni in cui cosa mangiare è un dilemma quotidiano. Chi siamo? Da dove veniamo? Cosa mangiamo? La dieta. Di quanti significati e aspettative carichiamo questa parola? Ma poi, cos’è la dieta?

Oggi, il cibo che portiamo in tavola lo subiamo come un pericolo, una minaccia, un oggetto misterioso e potenzialmente infido. Conservanti, ormoni, coloranti, zuccheri nascosti, dolcificanti, non è facile districarsi in questo panorama chimico. La più importante indagine su come la fauna umana appartenente alle più varie latitudini percepisce i cibi, è del 2016 e si chiama Global Health and Ingredient-Sentiment di Nielsen (il report completo qui). Chi ha raccolto i dati si è posto l’obbiettivo di mettere a fuoco le abitudini alimentari e il vissuto dei consumatori di oltre 60 Paesi del mondo nei confronti di determinati cibi e ingredienti.

Citando il dossier:

“In questi ultimi anni si sta osservando un cambio di mentalità dei consumatori a livello globale che vedono il cibo come fonte di benessere e si approcciano alla propria alimentazione in modo più selettivo, con una crescita d’interesse verso i prodotti salutistici. Per quanto riguarda il nostro Paese, si conferma un nuovo approccio agli alimenti, caratterizzato da un progressivo aumento dei consumi di prodotti appartenenti al mondo “Benessere & Salute”: nell’ultimo anno il paniere di questi prodotti ha registrato un trend positivo di +8,4% sulle vendite a volume.

Ma da quali necessità e/o convinzioni sono guidati questi nuovi modelli di consumo?

Quasi 2 italiani su 5 (il 38% dei rispondenti) dichiara di seguire una particolare dieta / alimentazione che vieta o limita il consumo di determinati ingredienti: le diete più comuni tra i consumatori italiani sono quelle a basso contenuto di grassi (18%) e a basso contenuto di carboidrati (11%). Per oltre 1 italiano su 5, invece, il cibo è vissuto come una “cura / medicina” e privarsi di un particolare alimento diventa una necessità funzionale a determinate patologie: il 23% dei rispondenti afferma di essere personalmente intollerante o allergico a qualche ingrediente oppure di avere in famiglia qualcuno che soffre di particolari intolleranze o allergie alimentari (tra le più comuni si riscontrano le intolleranze nei confronti del latte / lattosio / prodotti caseari in generale e del frumento / glutine).

Il fenomeno salutistico che ha preso piede negli ultimi anni non è però circoscritto solo alle diete e alle necessità legate a particolari patologie. Dallo studio è emerso che oltre la metà degli italiani ha dichiarato di evitare volontariamente l’assunzione di determinati ingredienti con la propria alimentazione, tra cui: antibiotici e ormoni in prodotti animali (66%), coloranti artificiali (65%), conservanti artificiali (62%), OGM (60%) e aromi artificiali (59%). Ne consegue quindi un atteggiamento più attento alle singole componenti presenti nei prodotti alimentari acquistati, con il 71% degli italiani che tende a privilegiare quei produttori e/o distributori che applicano canoni di massima trasparenza su origine e modalità di produzione dei propri prodotti”

Tutto questo, per certi versi non solo è un bene, è persino un gran bene. Ci riscopriamo mediamente più interessati, quindi più attenti, a quello che mangiamo. Siamo, forse, tornati – dopo l’epoca d’oro di wurstel e sofficini – a riconsiderare i nostri reali fabbisogni e, con loro, la possibilità che se la natura ci offre dei frutti non sia un caso. Questo, guardando il bicchiere mezzo pieno, di sana acqua del rubinetto. Gettando l’occhio al bicchiere mezzo vuoto – magari di Smart water (by Coca cola) – questa del “mangiare salutista” (diverso da salutare, ndr) ho il sospetto che sia una moda che presto o tardi potrebbe passare, come da definizione. Come tutte le mode, quando ci prende, diventa un’ossessione (pensate al ritorno del Winner Taco o ai jeans strappati) e finisce per invadere campi della vita che hanno una dubbia pertinenza con il tema (pensate a quando, per qualcuno, non avere l’iphone faceva sentire di aver fallito nella vita). Infatti l’ healthy food business, non è solo fautore di una maggior consapevolezza (?) alimentare, ma anche la fucina del gluten & lactose scare, ad esempio.

Per concludere questo lungo parere non richiesto, aggiungo una riflessione finale. A volte desideriamo cibo fast, al quale non chiediamo di rispondere ai dettami di una precisa composizione organolettica, lo preghiamo solo di soddisfare – velocemente – il palato, bramoso di gusti dall’esplosività irreale. In altri momenti, pensiamo che è il cibo fit che ci consentirà di tenere lontani tutti i mali. Al suo cospetto ci trasformiamo in chimici, fisici, critici gastronomici, ispettori dell’ASL.

 

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